Ci sono degli eventi che rimangono scolpiti nella memoria per sempre. Quando ritorni indientro nei ricordi ti sembra di rivedere ogni cosa, ogni piccolo dettaglio. Ti sembra di ricordare ogni parola, ogni sfumatura.
A me capita con la strage di Ustica. Era il 29 giugno del 1980, avevo 13 anni, era mattina, fuori c'era il sole ed io stavo facendo colazione nella cucina della mia vecchia casa di via Palestrina. La tavola era apparecchiata con una tovaglia a quadri bianca e rossa, di quelle che oggi si trovano, forse, nelle osterie. La radio era accesa e il telegiornale aprì con la notizia del disastro aereo di Ustica.
Da quel giorno ho sempre seguito questa vicenda, dagli articoli sul Corriere della Sera di
Andrea Purgatori, al film (
Muro di gomma) di Marco Risi per finire con la rappresentazione teatrale di Marco Paolini. L'altro giorno mi sono imbattuto in questo articolo scritto da Michele Smargiassi su Repubblica. Lo riporto in versione integrale. Così, per non dimenticare.
Quella notte di guerra segreta, di guerra mai confessata, li aspettava tutti e ottantuno, nel cielo sopra Ustica. Aspettava feroce, cieca e soprattutto paziente. Aspettava Rita Guzzo, 29 anni, impiegata delle imposte di Suzzara, che tornava dai suoi in Sicilia con una buona notizia, un concorso da dirigente appena vinto: all’aeroporto di Bologna arrivò con un’ora di ritardo, ma il suo volo era più in ritardo di lei: e ci salì. La guerra aspettava Alberto Bonfietti, insegnante di scuola media, che fino alla sera prima aveva un febbrone da cavallo, ma non poteva più rimandare la partenza perché aveva giurato a sua figlia Silvia, che l’indomani compiva sette anni, di essere alla sua festa: e salì.
Solo una persona la guerra non volle incontrare: Linda Lachina, tredici anni. Mamma e papà le avevano promesso come regalo della promozione: “Ti portiamo con noi in aereo dai nonni”, ma poi c’erano solo due posti disponibili e partirono soli e quando chiamarono dall’aeroporto “per la rabbia non risposi al telefono”. “Volo Itavia IH 870, ultima chiamata”, gracchiava l’altoparlante del Marconi, che allora sembrava una stazioncina di provincia. Ultima chiamata, davvero. Il ritorno a casa dell’aereo che partì senza arrivare porta l’orologio delle emozioni indietro di ventisei anni. La voce della signora Fortuna Davì vacilla come se tutto fosse successo ieri, stanotte, un’ora fa. Mio figlio Francesco lo aspettava al terminal, c’era andato con il motorino nuovo, non vedeva l’ora di mostrarglielo.
Chiamò alle dieci di sera: “Mamma, arrivano tutti ma non quello da Bologna”. E io: “il solito Michele, l’aereo fa ritardo e lui neppure mi avverte.
È davvero in ritardo, la sera di venerdì 27 giugno 1980, il Bologna-Palermo delle 18.15. perché è atterrato con un’ora e mezza di ritardo a Bologna, proveniente da Punta Raisi. “Problemi di traffico”, informa in tono standard l’altoparlante: malumori nella scomoda sala d’attesa, un altro giro di caffé, un gelato per merenda tardiva ai bambini (ce ne sono 13 nella lista d’imbarco, tra loro due neonati) “perché tanto stasera si mangia tardi”, anche se non è poi così calda questa giornata estiva coperta dai nuvoloni di un temporale incombente: 24 gradi. I bimbi sono eccitati, per molti è il battesimo dell’aria. Dal pulmino spalancano gli occhi sul gigante alato, con i suoi due motori sotto le ali, tutto bianco con una striscia rosso porpora sulla fiancata e una freccia sulla coda. Il Dc), serie 10, modello 15 della McDonnell-Douglas in realtà è un apparecchio anzianotto, vola dal 1966, ha girato il mondo sotto le bandiere di una compagnia hawaiana ed ora finisce la sua carriera come autobus volante per emigrati, turisti, uomini d’affari, pendolari di uno stivale troppo lungo da scalare in treno. Qualche acciacco, il motore della scaletta che recalcitra, un manometro fuori uso, ma nulla di preoccupante per la sicurezza. Il comandante Domenico Gatti è rilassato quando augura il benvenuti a bordo anche a nome dei tre colleghi d’equipaggio. Ottantuno vite staccano l’ombra da terra alle 20.02, quasi due ore dopo l’orario previsto. Dall’oblò un bambino forse legge la misteriosa scritta nera sull’ala: “I-Tigi”. La stessa che apparirà otto anni dopo alle telecamere di un batiscafo, centinaia di metri sotto il mare.
“Bologna round pronto per la messa in moto”. La scatola nera registra tutto, com’è il suo dovere quotidiano per tre voli al giorno. Ed è già cielo. Ottantuno esistenze riunite dal caso, ottantuno menti distratte slacciano le cinture. Il mondo è piccolo, Palermo dista da Bologna meno di due ore, poco più di un giornale, meno di un libro, forse solo il tempo di pensare a quel che si lascia, a chi ti aspetta. I coniugi Marsisi di Termine Imprese hanno già nostalgia delle due figlie lasciate a Mantova perché non potevano mancare alla festa di fine scuola. La famiglia Lupo, invece, è tutta a bordo: cinque persone. Maria Calderone zoppica ancora, ma i dottori di Bologna le hanno detto che l’operazione alla gamba è perfettamente riuscita. Per Maria Magnani, farmacista, è l’inizio di una bella vacanza, ha prenotato nel villaggio turistico di un’isola che si chiama Ustica. Per Maria Gruber, invece, si torna al lavoro all’Hotel delle Palme di Palermo. Il carabiniere, l’avvocato, l’operaio edile, la pensionata, il borsista, l’imprenditore: è un succo, un estratto di Italia che vola tranquillo su Ambra 14, l’immateriale autostrada del sole a 30 mila piedi d’altezza, salutato dalle torri di controllo di Peretola, di Campino, “buonasera 870”. C’è molto vento, ma niente di insolito o di strano. C’è il mare, sotto, nel tramonto si intravede Ponza: chi già sente aria di casa, chi di tuffi salati. Sono le 20.58 e il Dc9 è quell’area di cielo che migliaia di pagine giudiziarie chiameranno “Punto Condor”.
Qualcuno davanti agli schermi radar di Marsala sta già fissando un viavai incredibile di puntini verdi che sfrecciano e si inseguono. “È lo scenario di guerra di fatto e non dichiarata, operazione di polizia internazionale coperta contro il nostro Paese, di cui sono stati violati i confini e i diritti” di cui scriverà il giudice Rosario Priore nelle carte di un processo senza condanne. Uno di quei puntini è il missile che cerca un aereo militare nemico, e ne incrocia uno civile e innocente. Ma gli ottantuno lassù non lo sanno. Ancora un minuto: 20.59 e 45 secondi, il comandante Gatti racconta una barzelletta. Ancora un secondo, anzi meno, perché non c’è neppure il tempo di finire la parola, “Gua…….”. E tutto precipita giù, giù nel mare freddo, in pochi secondi, prima di sprofondare per decenni un mare di bugie, di vergogna, di schifo.